“L’ipnosi non esiste, tutto è ipnosi!” diceva Milton Erickson, l’ipnoterapeuta più affermato
e famoso del secolo scorso. E’ una massima impregnata di una verità profonda, poiché
in realtà tutti viviamo quotidianamente la nostra ipnosi, e proprio il modo in
cui la viviamo determina ampiamente il nostro equilibrio psicofisico, più o
meno armonico. L’ipnosi è uno strumento molto potente ed efficace, di cui può
disporre uno psicoterapeuta per aiutare i proprio pazienti a superare o
quantomeno mitigare i loro malesseri: quando
uno psicoterapeuta conosce e sa usare l’ipnosi, può utilizzarla anche al
livello “ipnoidale”, vale a dire di “ipnosi vigile”. Quando una psicoterapia
sia utilizzata efficacemente da uno specialista competente, che sia in grado di
creare una buona “alleanza terapeutica” e di utilizzare opportunamente metodo e
tecnica, allora l’ipnosi vigile diventa una componente essenziale del processo
terapeutico. Ma che cos’è l’ipnosi vigile? Vi propongo un estratto dal libro “Ipnosi
e suggestione in psicoterapia” da me scritto in coautoraggio nel 2005, appunto
il paragrafo dedicato all’ipnosi vigile. Oggi, alla luce di 13 anni di
esperienza clinica, e di un utilizzo continuo del counseling psicologico, della
psicoterapia e dell’ipnositerapia, posso affermare senza dubbio che l’ipnosi
vigile è una componente essenziale che nella mia pratica professionale mi ha
consentito di aiutare tanti pazienti.
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«Uno
dei concetti di maggiore importanza, formalizzati da Granone (fin dal 1962),
riteniamo sia quello di “ipnosi vigile”. Infatti Franco Granone è stato il primo ricercatore a formalizzare
il concetto che esiste uno stato di
trance ipnotica molto leggero, in cui ancora si ha l’azione preponderante della
critica e in cui il soggetto funziona allo stato di coscienza vigile, ma nel
quale le suggestioni possono comunque
esercitare molto efficacemente effetti curativi e ristrutturanti, agendo sui
livelli profondi della psiche ed esercitando un’azione subconscia, e durante il
quale si possono comunque produrre considerevoli alterazioni della
suggestibilità, della volontà e somato-viscerali.
Ma vediamo nello
specifico cosa Granone intende per ipnosi
vigile: «L’ipnosi vigile è una
particolare condizione che definisco di suggestiva passività psicosomatica,
durante la quale si possono avere anche importanti modificazioni somatiche
(analgesia, contrattura, catalessi), apparendo integra la coscienza del
soggetto e del pari, entro determinati limiti, la sua capacità di riflessione e
di critica. Con la conservazione di queste, il paziente non può tuttavia
sottrarsi al dominio dell’idea suggestionante. Si ritiene, con Grasset, che il
soggetto che subisce la suggestione allo stato di veglia, si trovi di fatto in
uno stato di ipnosi parziale, con i sintomi della veglia al posto di quelli
della ipnosi profonda» (Granone, 1983).
Possiamo ritrovare
lo stesso concetto anche in altri autori, sebbene con sfumature diverse,
primariamente a partire dallo stesso Bernheim, che riteneva la suggestione
come un fenomeno caratteristico anche dello stato di veglia e non solo dello
stato ipnotico. Ovviamente sappiamo però, che la suggestione può agire in
misura amplificata negli stati ipnotici più profondi, in quanto essi aprono dei
canali preferenziali di comunicazione coi domini inconsci della nostra psiche.
Tuttavia, è certo
che la suggestione operi in modo efficiente anche nell’ipnosi vigile, anche se
ci sembra doveroso compiere una distinzione fra suggestionabilità in
stato di veglia (assimilabile all’effetto placebo), per cui si ha una
forma di comunicazione mente-corpo più generale ed automatica, in cui entrano
in modo preponderante vari tipi di aspettative (culturali, soggettive, ecc.), e
la suggestionabilità ipnotica, in cui invece si accede ai propri
schemi di comunicazione mente-corpo solo attraverso l’impiego della suggestione
psicologica. Ecco come E. Rossi
riferisce al riguardo, relativamente alle ricerche di F. Evans sull’effetto
placebo:
«In condizioni
sperimentali di laboratorio, la suggestione ipnotica e l’effetto placebo
sembravano funzionare per mezzo di meccanismi diversi o a diversi livelli di
risposta. Un modo per comprendere tale differenza consiste nel dire che la
responsività ipnotica è una dote specifica e innata che comporta la capacità di
accedere ai propri schemi di comunicazione mente-corpo, o di mutarli, soltanto
attraverso l’impiego della suggestione psicologica. L’effetto placebo, per
contro, è una forma di comunicazione mente-corpo più generale e automatica che
utilizza i metodi di cura della medicina per ridurre l’ansia e facilitare la
guarigione, schierando in campo contro la malattia potenti aspettative
culturali e cieca fiducia nei confronti del metodo di cura. Altri ricercatori
credono che, anche se l’effetto ipnotico e quello placebo sembrano diversi per
il modo in cui vengono facilitati a livello socioculturale, sono in realtà
delle modalità essenzialmente simili di attività mentale creativa a livello
psicobiologico, dove vengono mediate dall’emisfero cerebrale destro del
paziente» (Rossi, 1987).
Che la suggestione
possa esercitare potenti effetti psicofisiologici anche durante il normale
stato di veglia, o in quella condizione che Granone chiama di “ipnosi vigile”,
ce lo testimoniano svariati fenomeni, dall’effetto placebo ai casi di
suggestione mortifera o di “morti vudu”. E in merito alle morti vudu per
suggestione, alcune interessanti testimonianze ci sono state fornite dal ben
noto fisiologo Walter Cannon in
alcune sue pubblicazioni, in cui concludeva sostenendo che la morte vudu era
dovuta a un’intensa e prolungata esposizione allo stress emotivo di credersi
sotto l’incantesimo di uno stregone. La causa fisiologica effettiva era
costituita da un’iperattivazione del sistema nervoso simpatico. A tal
proposito anche Granone, in merito al potere della suggestione riferisce:
«Nelle pratiche di suggestione
mortifera sembra che la vittima sapendo di essere stata esorcizzata e
considerando la propria morte ormai inevitabile, finisca col rifiutare il cibo
e morire di fame. Si tratta di morti lente, spontanee, prive di giustificazioni
etiopatogenetiche e di fondamento clinico, descritte tra alcune popolazioni
primitive in varie parti del mondo: Australia, Africa, Nuova Zelanda, Nuova
Guinea, Polinesia, Nord e Sud America (Antonelli, 1981). Koch Isemburg scrive: “Soltanto i saccenti europei ridono del fatto
che la sentenza di morte pronunciata dallo stregone può uccidere un uomo. Noi
europei dei tropici lo sappiamo benissimo. Data la forte influenzabilità
psichica degli indigeni, bisogna credere che la suggestione sia un agente
patogeno capace anche di uccidere, specie in una cultura che crede senza
riserva a magie, maledizioni, tabù, malocchio e ad ogni altra forma magica” […]
La morte psicogena non è solo prerogativa dei popoli primitivi, essendo
stata registrata nel ventesimo secolo tra i prigionieri di guerra americani,
detenuti in campi di concentramento, in Giappone o in Corea, pur senza che essi
presentassero segni clinici di deperimento fisico (malattia del bambù). Questi
prigionieri ad un tratto, diventavano svogliati, trascurati, chiusi in sé
stessi, non mangiavano più e, avvolgendosi in una coperta, manifestavano un
forte desiderio di essere lasciati soli. La morte, secondo le testimonianze di
Katz, Nardini, Strassmann e Mayer (Antonelli, 1981), sopraggiungeva dopo pochi
giorni. In questi soggetti l’autosuggestione, per arrivare a tali estreme
conseguenze, deve evidentemente trovare una particolare costituzione mentale e
facili correlazioni psicosomatiche.» (Granone, 1983), e ancora:
«Una specie di suicidio psichico si
verifica anche con una certa frequenza negli anziani, che sentono crollare
tutti i valori della vita; anche se in essi la diagnosi di morte si compendia
poi nella solita sommaria formula di collasso cardiocircolatorio. Di fatto, per
questi soggetti il non essere
acquista lo stesso valore dell’essere
senza speranza, né fiducia in qualche cosa o in un futuro, anche se breve»
(ibidem).
In merito ai
meccanismi psicofisiologici dell’effetto placebo e della suggestione ipnotica, Rossi ritiene (prescindendo dal grado
di profondità della trance), supportato dalle più recenti ricerche in ambito
neurofisiologico, che essi siano mediati da un meccanismo comune o da un
vincolo comune di comunicazione tra la mente e l’organismo, e che in
particolare il sistema limbico-ipotalamico sia il più ovvio candidato
anatomico al ruolo di connettore tra mente e corpo. Secondo Rossi, questo
sistema cerebrale è un canale unico di comunicazione psicofisiologica tra le
aspettative ed i processi creativi della mente e la fisiologia emotiva del
corpo, e sarebbe il comune denominatore che media l’effetto placebo in
situazioni palesemente diverse (dalla fede ingenua per un trattamento medico o
farmacologico, alle aspettative di segno negativo relativamente alle morti
vudu, alle guarigioni connesse alle interpretazioni positive e gli stati
d’animo positivi), e gli effetti psicoterapeutici delle suggestioni e della
trance ipnotica (Rossi, 1987).
Abbiamo ritenuto
opportuno aprire questa parentesi relativamente all’effetto placebo e
all’azione della suggestione in vari casi di stati di coscienza vigile, poiché
crediamo che l’argomento sia comunque connesso al concetto di ipnosi vigile
sviluppato da Granone, e inoltre per
meglio comprendere a quali livelli possa esplicarsi l’effetto della suggestione.
Pensiamo che ora disponiamo di un quadro compiuto per comprendere il concetto
di ipnosi vigile e l’effetto della suggestione, sia che si eserciti su un
soggetto in stato di coscienza vigile o in trance ipnotica, dai livelli più
superficiali a quelli più profondi. Riteniamo molto probabile che la condizione
di base comune all’influsso suggestivo nelle diverse circostanze, sia comunque
uno stato di ipnosi vigile, e che il meccanismo neurofisiologico che
costituisce il comune denominatore dell’azione e degli effetti suggestivi sia
l’attivazione di particolari distretti cerebrali, in particolare come la più
recente ricerca sembrerebbe suggerire, il canale limbico-ipotalamico. In questi
processi, naturalmente intervengono pur sempre fattori di notevole influsso, la
particolare attitudine psicofisiologica del soggetto ricevente, e quella
dell’emittente (ovvero dell’ipnologo o psicoterapeuta), e la dinamica del
rapporto interpersonale, come precedentemente trattato.
In merito
all’importanza dell’ipnosi vigile, vorremmo ricordare che molti soggetti che
ricorrono al trattamento ipnoterapeutico possono restare inizialmente
scoraggiati o delusi nelle loro aspettative, alla constatazione di non essere
riusciti a raggiungere un livello di trance abbastanza profonda, o per non
essere riusciti ad apprezzare mutamenti significativi nel loro stato di
coscienza durante il trattamento. Il più delle volte questo accade perché si
crede che l’ipnosi debba necessariamente corrispondere a uno stato
psicofisiologico particolarmente alterato, rispetto a quello che caratterizza
lo stato di coscienza vigile. Ma in effetti le cose non stanno proprio così,
poiché, come pensiamo di avere già esaurientemente chiarito nel corso del presente
lavoro, l’ipnosi è raggiungibile a livelli superficiali anche in condizioni che
di poco si discostano da quelle normali di coscienza vigile, ed effetti
terapeutici apprezzabili possono essere ottenuti anche a partire da tale
condizione, che appunto Granone chiamerebbe ipnosi vigile. A tal
proposito riteniamo emblematico quanto riferito da Gérard Sunnen in merito all’esperienza dell’ipnosi:
«Esiste una larga
variabilità fra i soggetti nella loro esperienza dell’ipnosi (Hilgard, 1965;
Freundlich 1974) […] Nelle situazioni cliniche, alcune persone escono
dall’esperienza ipnotica stupefatte di aver provato uno stato mentale così
ampiamente diverso rispetto al loro normale stato di veglia, mentre altre
riferiscono di non aver sperimentato niente di inusuale. Nel primo caso,
l’impatto vivido dell’esperienza servirà a facilitare l’ulteriore e futuro
lavoro ipnotico, attraverso la convinzione del soggetto che un qualche fenomeno
tangibile si sia indubbiamente verificato. Nel secondo caso, nonostante l’assenza
di qualunque nuova sensazione durante l’esperienza ipnotica, i soggetti
potranno comunque riportare, con loro grande sorpresa, un’ampia gamma di
effetti ipnotici. Per esempio, cito il caso di una donna di circa trent’anni,
gravemente sovrappeso e con una lunga storia alle spalle di tentativi
fallimentari nel seguire diete alimentari. La donna uscì delusa dalla sua prima
esperienza ipnotica: immaginava che durante la trance avrebbe sperimentato
sentimenti molto particolari, mentre in effetti dopo la seduta ipnotica riferì
di aver percepito soltanto un livello di rilassamento più profondo. Ma nel
periodo successivo, quando il trattamento ipnotico della donna proseguì,
contestualmente alla somministrazione di suggestioni orientate all’adozione non
problematica di programmi nutrizionali, ella riferì con sorpresa che nonostante
l’assenza di cambiamenti soggettivi durante le sedute ipnotiche, era stata
capace di rendere effettivo il messaggio suggestivo e di seguire le diete
alimentari, quasi come se agisse automaticamente e senza sforzi» (Sunnen, 1998).
Ci sembra che sia
molto chiaro, dal quadro fornito da Sunnen, che il resoconto di questa paziente
rappresenti un caso evidente di efficacia terapeutica di ipnositerapia condotta
in uno stato di ipnosi vigile, anche se l’autore non fa riferimento a questo
concetto particolare, formalizzato da Granone, ma comunque presente e riportato
con sfumature diverse nei lavori di diversi ricercatori.»
Bibliografia
Manca Uccheddu Ornella, Viola
Antonello (2005). Ipnosi e Suggestione in
Psicoterapia, Giuffré editore, Milano, 6, 198-202.
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